Un quinto in meno. È la differenza media di stipendio tra donna e uomo in Italia nel settore privato, a parità di mansione e ore lavorate.
Un dato inaccettabile, che sopravvive, nonostante nel tempo siano state prese diverse misure a contrasto del “gender pay gap”, una su tutte il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, secondo il decreto legislativo n.198 dell’ 11 aprile 2006.
Per riuscire a superare il divario salariale e continuare ad offrire sgravi contributivi alle aziende anche per l’assunzione delle donne vittime di violenza di genere come indicato nel D.L. dell’11 maggio 2018, oggi è necessario rafforzare il controllo nelle Aziende. Per questo, è stata recentemente inoltrata anche proposta di legge presentata alla Camera dei deputati da Chiara Gribaudo, che chiede un “rapporto” alle imprese sulla situazione del personale.
In questo modo le aziende con più di cento dipendenti devono produrre e comunicare un “rapporto biennale” inerente la situazione del proprio personale. La nuova proposta di legge può essere applicata anche alle imprese con minor numero di dipendenti, ma su base volontaria.
L’elenco di chi ha prodotto e di chi non ha prodotto il documento con il rapporto, dovrà essere pubblicato sul sito internet del Ministero del Lavoro in apposita sezione. Ed è sempre il Ministro del Lavoro che stabilisce specificatamente quali informazioni debbano essere inserite nella relazione dell’azienda.
Se l’azienda tenuta obbligatoriamente alla stesura del rapporto dovesse tardare ad inviarlo al Ministero oltre 12 mesi rispetto al termine dei 60 giorni previsto attualmente, gli eventuali benefici contributivi di cui l’azienda gode, vengono sospesi per un anno.
Inoltre, nel caso in cui, il rapporto prodotto risultasse falso, da verifica dell’Ispettorato nazionale del lavoro, vengono applicate sanzioni amministrative da 516 a 2.582 euro e sanzioni penali, in relazione al tipo di reato, con la reclusione fino a due anni.
Infine, tutte le aziende virtuose ritenute in regola con la parità di genere (con più o meno di 100 dipendenti), ottengono una certificazione definita “bollino rosa”, che ne attesta la raggiunta parità di genere.
Il 27 novembre 2019 è iniziato l’esame in Commissione Lavoro e la proposta di legge è stata accorpata ad altre proposte di legge abbinate (C. 522 Ciprini, C. 615 Gribaudo, C. 1320 Boldrini, C. 1345 Benedetti, C. 1675 Gelmini, C. 1732 Vizzini, C. 1925 CNEL e C. 2338 Carfagna) .
Il 4 marzo 2020 è stato nominato un Comitato, che dovrà riunire in un testo unico le proposte, tutte volte alla tutela delle donne lavoratrici e all’eliminazione del divario salariale.
Divario, che non riguarda soltanto gli uomini e le donne, ma anche le discriminazioni tra due tipologie di donne: chi ha e chi non ha figli. L’INPS ha constatato infatti, che dopo venti anni dalla nascita del figlio, la madre lavoratrice può guadagnare fino al 12 per cento in meno rispetto alla collega senza figli. E le disuguaglianze non si avvertono solo a livello di stipendio, ma anche di difficoltà nella conciliazione lavoro-vita privata, dovute alla poca disponibilità di servizi per l’infanzia, spesso troppo onerosi, e dall’induzione al licenziamento post maternità o al non rinnovo di un contratto a termine da parte delle imprese.
La strada per la parità di genere è culturale, prima ancora che salariale, ed è lunga e tortuosa, ma le recenti proposte di legge stanno tracciando un chiaro percorso verso un nuovo, importante traguardo.